Giovanni 17,20-23
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me».
La preghiera di Gesù si allarga e al tempo stesso si concentra: mentre l’orizzonte passa dai discepoli a coloro “che crederanno in me mediante la loro parola”, dilatando la missione della chiesa verso altri e nel futuro, la preghiera di Gesù raccoglie tutto e tutti nella intimità della sua comunione con il Padre. I discepoli sono separati dal mondo per essere inviati al mondo, ma secondo quel paradosso di “espansione per attrazione” che Gesù aveva già indicato: “quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32). L’unità dei credenti non consisterà in un qualche assetto istituzionale o in un semplice accordo umano; la loro comunione sarà fondata, abitata e guidata dalla relazione di inabitazione reciproca del Padre e del Figlio: una comunione nella diversità che solo l’amore realizza. Sarà vedendo questo nei discepoli che il mondo crederà a Gesù come l’inviato del Padre. E questa è la gloria data dal Padre a Gesù, e portata da Lui a compimento perché sia consegnata tutta intera ai discepoli: la gloria dell’amore, lo splendore che solo chi ama fino a dare la vita semina nel mondo. È il mondo, infatti, l’orizzonte d’amore di tutta la missione di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (3,16); e quindi della missione affidata ai suoi discepoli. Sarà solo la presenza di Gesù in noi, come in Gesù è presente il Padre, ad assicurare ai discepoli una via di crescita verso il compimento nella comunione che renda possibile al mondo riconoscere in Gesù la gratuità del dono di amore del Padre.