Collatio 11-1-2020

Isaia 41,21-29

Presentate la vostra causa, dice il Signore,
portate le vostre prove, dice il re di Giacobbe.

Si facciano avanti e ci annuncino
ciò che dovrà accadere.
Narrate quali furono le cose passate,
sicché noi possiamo riflettervi.
Oppure fateci udire le cose future,
così che possiamo sapere quello che verrà dopo.

Annunciate quanto avverrà nel futuro
e noi riconosceremo che siete dèi.
Sì, fate il bene oppure il male
e ne stupiremo, vedendo l’uno e l’altro.

Ecco, voi siete un nulla,
il vostro lavoro non vale niente,
è abominevole chi vi sceglie.

Io ho suscitato uno dal settentrione ed è venuto,
dal luogo dove sorge il sole mi chiamerà per nome;
egli calpesterà i governatori come creta,
come un vasaio schiaccia l’argilla.

Chi lo ha predetto dal principio, perché noi lo sapessimo,
chi dall’antichità, perché dicessimo: «È giusto»?
Nessuno lo ha predetto,
nessuno lo ha fatto sentire,
nessuno ha udito le vostre parole.

Per primo io l’ho annunciato a Sion,
e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di buone notizie.

Guardai ma non c’era nessuno,
tra costoro nessuno era capace di consigliare,
nessuno da interrogare per averne una risposta.

Ecco, tutti costoro sono niente,
nulla sono le opere loro,
vento e vuoto i loro idoli.

Il Signore mette in scena, attraverso le parole del profeta, una causa fittizia contro gli idoli vani, colpevoli di rivendicare per sé una qualifica divina, mentre non hanno saputo in alcun modo prevedere l’ascesa del re Ciro e la disfatta di Babilonia. A che servono dunque? E quanto è grande la stoltezza di coloro che vi si affidano! Il Signore invece, oltre ad avere lui stesso suscitato il conquistatore dal nord, lo ha predetto, attraverso il suo messaggero, molto tempo prima (cfr. Is 13!)! Gli idoli, che non sono in grado di rispondere alle accuse del Signore, si rivelano per quello che sono: nulla, illusione, vanità. Ecco dunque, ancora una volta, la sapienza del popolo di Dio: riconoscere che la sua storia, e quella di tutti i popoli, è abitata da un Dio che parla, che chiama alla relazione, che svela una direzione, il senso più profondo in ogni vicenda. Israele deportato ha perduto Gerusalemme, non ha più una propria terra, il tempio, i sacrifici, la liturgia. Una cosa sola rimane, e proprio lì sperimenta la fedeltà di Dio e la sua misteriosa presenza: la Parola, che è legge buona da osservare, e una promessa da attendere. Questa divina Parola realizza quello che né gli idoli, né i falsi profeti asserviti al potere sanno fare: saper riflettere sul passato e preparare al futuro; e così la Parola è l’istanza critica di Dio sul mondo e sulla storia, ne svela gli inganni, le illusioni, le false sicurezze. Dio parla, e la sua parola è per il credente il tesoro più prezioso, è l’ardente testimonianza della santità di Dio, del suo essere inassimilabile al mondo, ed è l’unica cosa che non potrà mai essere tolta al suo popolo per quanto oppresso, impoverito, spogliato. Anzi: la condizione di povertà apre le orecchie e schiarisce lo sguardo di un popolo che impara ancora di più ad ascoltare, a fare memoria, ad affidarsi, ad attendere. Nel mare mondano di parole e immagini che soffocano il cuore, una pausa di silenzio nudo, in ascolto dell’unica Parola che salva, ci riconnette al senso più profondo della nostra storia, della storia degli uomini, e ci riconsegna con fiducia, al di là di ogni fragile illusione, al futuro di Dio.

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