Isaia 49,7-13
Così dice il Signore,
il redentore d’Israele, il suo Santo,
a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni,
schiavo dei potenti:
«I re vedranno e si alzeranno in piedi,
i prìncipi si prostreranno,
a causa del Signore che è fedele,
del Santo d’Israele che ti ha scelto».
Così dice il Signore:
«Al tempo della benevolenza ti ho risposto,
nel giorno della salvezza ti ho aiutato.
Ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo,
per far risorgere la terra,
per farti rioccupare l’eredità devastata,
per dire ai prigionieri: “Uscite”,
e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”.
Essi pascoleranno lungo tutte le strade,
e su ogni altura troveranno pascoli.
Non avranno né fame né sete
e non li colpirà né l’arsura né il sole,
perché colui che ha misericordia di loro li guiderà,
li condurrà alle sorgenti d’acqua.
Io trasformerò i miei monti in strade
e le mie vie saranno elevate.
Ecco, questi vengono da lontano,
ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente
e altri dalla regione di Sinìm».
Giubilate, o cieli,
rallégrati, o terra,
gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo
e ha misericordia dei suoi poveri.
Troviamo qualche altro elemento che ci descrive la figura del servo, che pian piano emerge con le sue caratteristiche. Nei versetti precedenti avevamo visto come la sua missione si allarghi (da Israele alle nazioni) perché accetta di attraversare con una rinnovata fiducia l’esperienza del fallimento, dell’inutilità della sua opera. Ora si parla di qualcosa in più; il servo non attraversa solo l’insuccesso, ma anche l’oppressione, la persecuzione, la schiavitù: “disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti”. Il Signore, qui ancora una volta chiamato “redentore”, gli assicura il ribaltamento della sua condizione: i re e i potenti che lo disprezzavano, dovranno riconoscere la sua superiore dignità, fondata sulla scelta fedele di Dio. Il servo sarà così araldo di liberazione per tutti avendo prima sperimentato lui stesso la fedeltà e la salvezza di Dio che libera (come Mosè, “salvato dalle acque”! Es 2,1-10). In questo modo, e attraverso questa “formazione”, il servo è lui stesso personalmente, prima ancora di ogni sua opera e parola, “alleanza del popolo”, luogo di visibilità della fedeltà di Dio alle sue promesse. E allora la liberazione diventa, per tutti, un modo nuovo di abitare il mondo: la terra” risorge” perché non più deserta, e si rientra in possesso dell’eredità desolata. La liberazione è infatti uscita dalla condizione di prigionia e di tenebra, dove ci si ritrova rinchiusi e non si sa più come uscirne. “Uscite… Venite fuori…!”. E’ il grido con cui Gesù chiede a Lazzaro di uscire dal sepolcro, ed è sempre l’annunzio di liberazione e di vita nuova. Essere liberati significa uscire e andare verso gli altri: un mondo pieno di “strade”, dove si cammina, ci si incontra, e così si trova pascolo: “non avranno né fame né sete!”. E’ Dio stesso che dopo averci tratto fuori dallo spazio ristretto delle nostre paure e solitudini, delle nostre schiavitù e tenebre, ci conduce “alle sorgenti di acqua”, alla fonte della nostra gioia e della nostra pienezza. I monti diventano strade, “vie elevate”, dove si cammina con sicurezza e dove si incontrano gli altri nella pace e nella gioia: “Ecco, questi vengono da lontano, ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente e altri dalla regione di Sinìm”. Un “via vai” meraviglioso, che finalmente realizza la vocazione del creato, casa comune di uomini riconciliati: un cielo che gioisce, una terra che si rallegra, monti che gridano di gioia, per un dono di consolazione da parte di Dio che trasforma gli uomini in un popolo dove i poveri ricevono misericordia.