Isaia 49,14-21
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato,
le tue mura sono sempre davanti a me.
I tuoi figli accorrono,
i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si radunano, vengono a te.
«Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore –,
ti vestirai di tutti loro come di ornamento,
te ne ornerai come una sposa».
Poiché le tue rovine e le tue devastazioni
e la tua terra desolata
saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti,
benché siano lontani i tuoi divoratori.
Di nuovo ti diranno agli orecchi
i figli di cui fosti privata:
«Troppo stretto è per me questo posto;
scòstati, perché possa stabilirmi».
Tu penserai: «Costoro, chi me li ha generati?
Io ero priva di figli e sterile, esiliata e prigioniera,
e questi, chi li ha allevati?
Ecco, ero rimasta sola,
e costoro dov’erano?».
Il lamento ancora una volta manifestato da parte popolo (questa volta è Sion, cioè Gerusalemme) che si sente abbandonato e dimenticato dal Signore (cfr. in particolare 40,27!) è ora l’occasione per un’appassionata dichiarazione di amore fedele da parte di Dio, che accorato rimprovera Gerusalemme per aver pensato una cosa simile: dimenticarsi di lei sarebbe come contraddire la sua stessa persona, tutto ciò che il Signore è e che fa. Il suo amore è come il legame profondo e incancellabile di una madre “per il figlio delle sue viscere”. Dio è madre! Non c’è immagine che esprima con più radicalità l’appartenenza reciproca: le viscere di misericordia di una madre non possono rimanere indifferenti davanti a coloro che ne sono il frutto. Anzi l’amore di Dio per il suo popolo è ancora più intimo e viscerale e irrevocabile: “se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!”. Dio si è fatto il tatuaggio indelebile di Gerusalemme sulle sue mani! Perché quando misurava “con il cavo della mano le acque del mare” e calcolava “l’estensione dei cieli con il palmo” (40,12), con le mani dispiegava i cieli (45,12) e poneva “le fondamenta della terra” (48,13), quando la sua mano operava meraviglie per il suo popolo (41,19-20), chiamandolo e prendendolo per mano (42,6), sempre davanti agli occhi aveva Gerusalemme: è per Lei, per la piena realizzazione della città di pace, che il Signore ha fatto ogni cosa. Sion non può dubitare dell’amore materno e fedele di Dio, e lo riscopre finalmente alzando gli occhi da se stessa e ritrovando la propria maternità perduta, contemplando i figli che si radunano. Non più rovina e devastazione, lo spazio angusto del vivere ripiegati sulla propria condizione, intristiti e amareggiati: un luogo inabitabile! Ora si può di nuovo alzare gli occhi da sé, e fare spazio a coloro che vengono, nuovi figli regalati per una condizione riscattata dalla sterilità, dall’esilio e dalla schiavitù. Ora Gerusalemme, ornata dei suoi figli come di gioielli, ritrova il suo essere sposa. Gerusalemme non è più sola, quando smette di piangere su se stessa e accogliendo i figli che vengono torna ad essere madre: è così che si ricorda dell’amore materno incrollabile di Dio.