Isaia 59,1-15
Ecco, non è troppo corta la mano del Signore per salvare;
né troppo duro è il suo orecchio per udire.
Ma le vostre iniquità hanno scavato un solco
fra voi e il vostro Dio;
i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto
per non darvi più ascolto.
Le vostre palme sono macchiate di sangue
e le vostre dita di iniquità;
le vostre labbra proferiscono menzogne,
la vostra lingua sussurra perversità.
Nessuno muove causa con giustizia,
nessuno la discute con lealtà.
Si confida nel nulla e si dice il falso,
si concepisce la malizia e si genera l’iniquità.
Dischiudono uova di serpente velenoso,
tessono tele di ragno;
chi mangia quelle uova morirà,
e dall’uovo schiacciato esce un aspide.
Le loro tele non servono per vesti,
essi non possono coprirsi con le loro opere;
le loro opere sono opere inique,
il frutto di oppressioni è nelle loro mani.
I loro piedi corrono al male,
si affrettano a spargere sangue innocente;
i loro pensieri sono pensieri iniqui,
desolazione e distruzione sono sulle loro strade.
Non conoscono la via della pace,
non c’è giustizia nel loro procedere;
rendono tortuosi i loro sentieri,
chiunque vi cammina non conosce la pace.
Per questo il diritto si è allontanato da noi
e non ci raggiunge la giustizia.
Speravamo la luce ed ecco le tenebre,
lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio.
Tastiamo come ciechi la parete,
come privi di occhi camminiamo a tastoni;
inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo,
nel pieno vigore siamo come i morti.
Noi tutti urliamo come orsi,
andiamo gemendo come colombe;
speravamo nel diritto ma non c’è,
nella salvezza ma essa è lontana da noi.
Poiché sono molti davanti a te i nostri delitti,
i nostri peccati testimoniano contro di noi;
poiché i nostri delitti ci stanno davanti
e noi conosciamo le nostre iniquità:
prevaricare e rinnegare il Signore,
cessare di seguire il nostro Dio,
parlare di oppressione e di ribellione,
concepire con il cuore e pronunciare parole false.
È trascurato il diritto
e la giustizia se ne sta lontana,
la verità incespica in piazza,
la rettitudine non può entrarvi.
La verità è abbandonata,
chi evita il male viene spogliato.
Ha visto questo il Signore
ed è male ai suoi occhi
che non ci sia più diritto.
Il lamento del capitolo precedente (58,3: “Perché abbiamo digiunato e tu non lo hai visto, ci siamo mortificati e tu non te ne sei accorto?”) riceve ora una nuova risposta da parte del profeta, che fa intendere quel lamento con una luce nuova, come una dichiarazione di delusione e di incredulità davanti ad una presunta debolezza di Dio e alla sua distanza dalle nostre preghiere: “Non è troppo corta la mano del Signore per salvare; né è troppo duro è il suo orecchio per udire!”. Il problema di questo senso diffuso di distanza, di inefficacia nel rapporto con Dio non sta in una sua lontananza, in un suo non essere “aggiornato” alle nostre necessità; il profeta mostra che il punto di vista va rovesciato: sì è vero c’è una distanza, “un solco fra voi e il vostro Dio”, ma siete voi ad averlo scavato con le vostre iniquità, “i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto per non darvi più ascolto!”. Viene in mente il racconto di Gesù nel quale Abramo si rivolge al ricco, dopo la sua morte, dicendogli che c’è un abisso invalicabile tra lui e il povero Lazzaro, che è nel seno di Abramo, un abisso che durante la sua vita il ricco ha scavato giorno dopo giorno con l’iniquità della sua indifferenza (Lc 16,19-31). E qui il profeta si addentra in una delle descrizioni più ricche e sfaccettate del peccato e della sua pervasività che ci sia nella bibbia: le mani macchiate di sangue (cfr. Is 1,15), le dita di iniquità, le labbra menzognere, la lingua perversa… un male che dilaga, che sembra non lasciare spazio per altro (nessuno… nessuno…), uno stravolgimento della fede in un “confidare nel nulla” (terribile!), una catena di perversità che dalla parola falsa, poi concepisce e genera il male (cfr. Sal 7,15)… come uova di serpenti, che seminano anche per il futuro veleno e morte, come tele di ragno costruite ad arte per ingannare e depredare, che non possono coprire la vergogna della loro malizia, e delle loro oppressioni… i loro piedi corrono verso il male, invece che per la via buona preparata da Dio (Sal 118,32; Is 40,3; 42,16; 43,16.19; 48,17; 49,11; 51,10; 57,2.14), non vedono l’ora di spargere il sangue dell’innocente… i loro pensieri sono iniqui, le loro strade sono desolazione e distruzione (Is 53,6; 56,11; 57,17), i loro pensieri e le loro vie non sono i pensieri e le vie del Signore (55,7-9), non conoscono la via della pace, e rendono tortuosi i loro sentieri (cfr. Mc 1,3 e par.) perché nessuno trovi pace. Questo grande, terribile affresco del peccato, è una denuncia del profeta ad un popolo che sceglie, persevera, si immerge, si identifica con il peccato, l’iniquità, la violenza, l’ingiustizia. Ma a questa accusa senza sconti una voce ora risponde, è il resto fedele, che qui sorprendentemente non si difende, non dichiara la sua innocenza, la sua estraneità al peccato conclamato, ma ammette la sua totale solidarietà con il male del popolo, accettando il giusto giudizio di Dio. Non è Dio che si è allontanato da noi, ma la giustizia! Per questo alla luce promessa che attendevamo, e che doveva vincere ogni tenebra (58,10!) si è sostituita l’esperienza di una oscurità e di un buio che ci impedisce di camminare, che ci fa procedere a tastoni, contro la parete, che ci fa inciampare anche a mezzogiorno, perché la tenebra è in noi, e la nostra forza non ci serve a nulla perché “siamo come morti”. È per questo che il nostro grido non raggiunge nessuno, perché è come l’urlo di un orso, come il gemito di una colomba, e la salvezza sperata è lontana. Non abbiamo da presentare a Dio se non i nostri peccati e le nostre iniquità, che gridano ben più forte delle nostre deboli preghiere, e testimoniano tutta quanta la nostra miseria: “i nostri delitti ci stanno davanti e noi riconosciamo le nostre iniquità!”. Questo è il resto fedele, che inverte il movimento della separazione, del “solco” scavato dall’iniquità, non prendendone le distanze, ma assumendolo interamente, come il servo del Signore (Is 53), come Gesù che prende su di sé il peccato del mondo, fino a portarlo, come un maledetto da Dio, sulla croce.