Collatio 3-6-2020

Atti 11,19-30

Intanto quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei.

Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia.
Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
In quei giorni alcuni profeti scesero da Gerusalemme ad Antiòchia. Uno di loro, di nome Àgabo, si alzò in piedi e annunciò, per impulso dello Spirito, che sarebbe scoppiata una grande carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio. Allora i discepoli stabilirono di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea, ciascuno secondo quello che possedeva; questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Bàrnaba e Saulo.

La svolta di Cesarea apre effettivamente a un cammino nuovo della chiesa verso i pagani, ma non attraverso piani pastorali o programmi di evangelizzazione: il motore è ancora quella dispersione di cui si era parlato in 8,1, come conseguenza della “persecuzione scoppiata a motivo di Stefano”. Il chicco di grano con la sua morte continua a produrre un grande frutto! Di fatto tutto avviene un po’ da sé, casualmente, attraverso discepoli in fuga, giunti fino ad Antiochia, grande metropoli dell’Impero di mezzo milione di abitanti, la terza dopo Roma e Alessandria, porta dell’Oriente, crocevia di popoli, lingue e religioni. Fino a questo momento i discepoli di Gesù, laddove si trovano, rimangono all’interno del mondo giudaico, come una setta particolare: proclamavano il Vangelo solo agli altri giudei presenti nelle città, all’interno delle sinagoghe durante le convocazioni per la preghiera. Qui ad Antiochia capitano, tra gli altri, anche alcuni fratelli provenienti da Cipro e Cirene (attuale Libia), probabilmente dei commercianti viaggiatori, abituati ad avere a che fare un po’ con tutti, che cominciano a parlare di Gesù anche ai pagani, annunciandolo come “il Signore”. Questa iniziativa spontanea “dal basso”, compiuta da discepoli di cui non si sa nulla a parte la loro provenienza, di fatto riscuote un grande interesse, tanto che “un gran numero credette e si convertì al Signore”; Luca commenta che “la mano del Signore era con loro”. Si tratta di un ulteriore salto di qualità: Filippo aveva incontrato per la strada l’eunuco etiope, timorato di Dio, che scendeva dal culto a Gerusalemme e leggeva la Bibbia e lo aveva battezzato; Pietro aveva avuto a che fare con un altro proselito, cioè un pagano già ben “giudaizzato”, il centurione Cornelio “religioso e timorato di Dio”, e non l’aveva solo battezzato, ma era entrato in casa sua e aveva mangiato con lui; ora questi fratelli di Cipro e Cirene fanno un passo ancor più azzardato: annunciano Gesù il Signore a gente che non solo è pagana, ma che non ha nessuna formazione né nelle Scritture né nelle pratiche basilari di una morale e di una pratica ispirata alla Legge di Dio. La notizia giunge alla Chiesa di Gerusalemme e per la delicatezza della situazione viene inviata una persona fidata: Barnaba. Egli infatti è in grado di cogliere i segni del dono di Dio, nel mezzo di una situazione nella quale ci saremmo messi le mani nei capelli: una massa di pagani completamente digiuni di ogni conoscenza della Parola di Dio, e con comportamenti morali inaccettabili se non raccapriccianti, faceva il suo ingresso nella comunità di credenti che fino a quel momento condividevano l’appartenenza a Israele e quindi anche un certo stile di vita. Il senso di superiorità morale che gli ebrei nutrivano nei confronti dei pagani non era campata in aria, ancora di più in una metropoli come Antiochia, dove se ne vedevano di tutti i colori: il contegno degli ebrei suscitava ammirazione in tante persone (come appunto l’eunuco e Cornelio) che aspiravano ad una vita più buona e giusta. Ma ora l’annuncio di Gesù Signore raggiungeva strati ampi di popolazione pagana, che non necessariamente si erano preparati con un cammino personale, spirituale e morale “adeguato”. Eppure, in tutto questo, Barnaba è in grado di vedere del buono, di cogliere la sincerità di quell’adesione di fede a Gesù, e di rallegrarsene. Certo coglie anche tanta fragilità in questa fiammata di entusiasmo da parte di uomini che fino al giorno prima sacrificavano agli dèi e vivevano una vita lontana dai comandi di Dio. Per questo fa due cose: prima di tutto si raccomanda di perseverare, di rendere quell’adesione al Signore l’atto di un “cuore risoluto”, non così, tanto per provare. E questo sostegno, dato da un uomo credibile perché “virtuoso” e coinvolgente perché “pieno di Spirito Santo” porta subito il suo frutto: “una folla considerevole fu aggiunta al Signore”. La seconda cosa che fa è partire per Tarso. Sono passati molti anni (almeno otto!) da quando Saulo è stato rispedito a casa sua dalla chiesa di Gerusalemme, ma Barnaba, che aveva ben capito le sue qualità e lo aveva lui stesso raccomandato a Gerusalemme, non se l’è dimenticato. Questo è il momento giusto per andare a recuperarlo, e per farsi aiutare da lui in un’opera così complessa e delicata di formazione e consolidamento della fede di questi “neonati”: Saulo parla bene il greco, ha una vasta conoscenza sia delle Scritture che della cultura greca dominante, è una persona toccata personalmente da Gesù e con il coraggio e la forza dell’evangelizzatore. Nel corso di un anno intero, alla scuola di Barnaba e Paolo, nasce ad Antiochia la prima chiesa “delle genti”; proprio qui i discepoli di Gesù non sono più semplicemente una “setta” giudaica e vengono chiamati dalla gente, per la prima volta, “cristiani”: un nome che doveva suonare più come la designazione di un movimento politico che religioso, i seguaci di un certo “Cristo” (il cui significato di “Messia” doveva sfuggire all’abitante medio di Antiochia). Insomma, ad Antiochia il vangelo non è più solo una questione interna a Israele e a qualche simpatizzante, ma entra nel “mondo”, nelle sue vicende “laiche”: si parla di una carestia “su tutta la terra” e troviamo un riferimento al “l’impero di Claudio”. Ma questo ingresso nella grande storia del mondo è accompagnata da una parola che viene da Gerusalemme: nella vicenda di Àgabo c’è un richiamo a quella parola di profezia che Israele dona a tutti gli uomini perché possano leggere gli accadimenti non come sciagura senza volto o passatempo degli dèi, ma come chiamata di Dio, come occasione per aderire a Lui e al suo progetto di amore. È proprio qui ad Antiochia che, in occasione della carestia, per la prima volta si realizza un gesto di solidarietà tra le chiese. C’è un debito di riconoscenza per quella parola che ha inondato di luce e di gioia la vita di questi nuovi cristiani e che viene dal sangue e dalla tribolazione di quell’Israele che ha creduto in Gesù: un debito di riconoscenza che si esprime in una colletta per i fratelli, evidentemente più poveri e senza mezzi, abitanti nella Giudea. Sono gli stessi Barnaba e Paolo a portare presso gli “anziani” di Gerusalemme l’aiuto concreto proveniente dalla nuova “chiesa delle genti” di Antiochia.

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